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La gamella

Sezione dedicata alla raccolta di documenti, del periodo che ci ha visto coinvolti a vario titolo nella Marina Militare.

Vi trovate qualche nostro tesserino di bordo, FOM di promozione, e...anche punizioni scritte.

Il tutto arricchito da foto delle nostre navi con le rispettive caratteristiche tecniche.

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timone

 

La Storia della Gavetta o Gamella

Il termine Gavetta (o Gamella che sono sinonimi) è tradizionalmente fatto risalire alla lingua latina con significato di “scodella”

 La gamella

Gavetta deriverebbe dal termine “Gabata”, che a Roma antica aveva una connotazione di origine straniera, mentre Gamella da “Camella”, probabilmente con chiaro riferimento alla gobba del cammello che nella sua forma ricorda quella di un recipiente rovesciato.
Il termine Gavetta e di più Gamella, nei secoli rinascimentali era legato più al mondo “MARINARO” che a quello delle truppe di terraferma. Infatti a bordo delle galee e delle navi in genere veniva così denominata la grossa scodella in cui consumavano il pasto un gruppo di uomini, in genere sette. Il termine si istituzionalizzò al punto che con gavetta si indicava un gruppo di sette marinai ammessi al rancio.
Ancora un legame con la tradizione marinara del termine Gavetta. Nel linguaggio architettonico si definisce “volta a gavetta” quella ottenuta intersecando una volta a padiglione con un piano orizzontale: si ottiene così una figura che ricorda la chiglia di un certo tipo di imbarcazioni. La volta a gavetta viene detta anche “volta a schifo” ed il termine “schifo”indicava nell’antica costruzione navale una imbarcazione adibita al servizio di una nave maggiore. Considerando che “schifo” viene fatto derivare dal longobardo SKIF e che nella lingua inglese SKIFF sta a definire una leggera imbarcazione a remi o a vela, si può collocare il termine Gavetta, nella sua primitiva adozione, alle forme navali antiche o di modello particolare. Un ultima annotazione: se si rovescia la volta a gavetta, si legge una forma di contenitore che da una parte ricorda un natante, dall’altra si avvicina in modo particolare a quell’utensile che nella tradizione umbra viene chiamato “capestio” e che quella marchigiana chiama “scodella”.
 
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